Malattia e destino: il valore e il messaggio della malattia il Cancro

Malattia e destino: il valore e il messaggio della malattia il Cancro

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Tratto dal libro
“Malattia e destino: il valore e il messaggio della malattia”
dei Dott. T.Dethlefsen e R.Dahlke
(edizioni Mediterranee)

Innanzitutto, bisogna prendere coscienza del fatto che ogni
globalità (unità tra le unità) da noi sentita o definita è composta da un
lato da molte altre globalità e dall’altro partecipa di una globalità molto
più grande.

Un uomo fa parte dell’umanità e consiste lui stesso di organi,
che sono parte di lui e al tempo stesso consistono di molte cellule, che a
loro volta rappresentano le parti dell’organo. L’umanità si aspetta dal
singolo uomo che si comporti in modo tale da essere utile all’evoluzione ed
alla sopravvivenza dell’umanità. L’uomo si aspetta dai suoi organi che
funzionino in modo tale da consentirgli la sopravvivenza. L’organo si
aspetta dalle proprie cellule che facciano il loro dovere, come è
indispensabile per la sopravvivenza dell’organo stesso.

In questa gerarchia, che potrebbe essere prolungata da entrambi
i lati, quella globalità individuale (cellula, organo, uomo) è sempre in
conflitto tra vita personale e subordinazione agli interessi dell’unità
superiore. Ogni struttura complessa (umanità, stato, organo) fa in modo che
possibilmente tutte le parti siano subordinate all’idea comune e la servano.
Ogni sistema di norma tollera la fuoriuscita di alcuni (pochi) membri senza
essere messo in pericolo come globalità. C’è però un limite superando il
quale la totalità viene minacciata nella sua esistenza.

Il cancro non è un evento isolato che si presenta soltanto nelle
forme patologiche note a tutti e che da lui prendono il nome: nel cancro
troviamo un processo intelligente e molto differenziato, che occupa l’uomo
su tutti i piani.

In quasi tutte le altre malattie, il corpo cerca di fronteggiare
con mezzi adatti le difficoltà che minacciano una funzione. Nel caso del
cancro ci troviamo però di fronte a qualcosa di fondamentalmente diverso: il
corpo assiste al progressivo cambiamento del comportamento delle proprie
cellule, le quali iniziano un processo di divisione che in sé non porta ad
alcuna fine, ma che trova una fine nell’esaurimento del terreno di coltura.
La cellula cancerosa non è, come un virus o un batterio, qualcosa che viene
da fuori, ma è una cellula che finora ha messo tutta la sua attività al
servizio dell’organo e quindi dell’intero organismo, in modo da aiutarlo
nella sua sopravvivenza. Poi di colpo questa cellula ha cambiato i suoi
intendimenti e abbandonato l’identificazione comune. Comincia a perseguire
scopi propri e a realizzarli senza preoccuparsi d’altro. Pone fine alla sua
normale attività di servizio specifico ad un organo e mette in prima linea
la propria moltiplicazione. Non si comporta più come membro di un essere
vivente dalle molte cellule, ma regredisce al livello precedente di
esistenza. Prende le distanze dalle cellule, sue simili e si diffonde
rapidamente e senza riguardo alcuno con una caotica moltiplicazione,
trascurando tutti i confini morfologici (infiltrazione) ed edificando
ovunque basi proprie (metastasi).

Dunque, perché mai la brava cellula agisce in questo modo?

Come membro obbediente di un organismo pluricellulare, non
doveva far altro che eseguire un’attività prescritta e ben definita, utile
alla sopravvivenza dell’organismo stesso. Era una cellula come tante altre,
che doveva svolgere un compito poco attraente per conto di “un altro”. E per
molto tempo l’ha fatto. Tuttavia, ad un certo punto l’organismo ha perso le
sue attrattive come spazio nell’ambito del quale compiere la propria
evoluzione. Un organismo unicellulare è libero e indipendente, può fare
quello che vuole, può anche rendersi importante attraverso un interminabile
meccanismo di riproduzione e moltiplicazione. Come organismo multicellulare
la cellula è divenuta mortale e non più libera. C’è da stupirsi che
rimpianga la precedente libertà e desideri tornare alla sua esistenza di
organismo unicellulare per realizzare personalmente la propria immortalità?
Essa sottopone allora la comunità ai propri interessi e comincia a
realizzare la propria libertà con un comportamento totalmente privo di
riguardo.

Una mossa di successo, il cui errore diviene evidente solo molto
tardi, quando si nota che il sacrificio dell’altro ed il suo utilizzo come
terreno di coltura porta con sé anche la propria fine. Il comportamento
della cellula cancerogena è coronato da successo finché la persona funge da
nutrimento, la sua fine significa anche la fine dell’evoluzione del cancro
stesso.

Così, ci si libera della vecchia comunità e ci si accorge troppo
tardi che se ne ha ancora bisogno. La persona non è entusiasta di offrire la
propria vita per la vita della cellula cancerogena, però neppure la cellula
cancerogena era entusiasta di offrire la sua vita per l’uomo. Essa ha
argomenti altrettanto buoni dell’uomo, solo la loro ottica è opposta.
Entrambi vogliono vivere e concretizzare i loro interessi e le loro idee di
libertà. È l’antico conflitto della natura: divorare o essere divorati. L’
uomo si rende conto della prepotenza e anche della miopia delle cellule
cancerogene: si rende però anche conto del fatto che noi uomini cerchiamo di
assicurarci la sopravvivenza agendo esattamente come le cellule cancerogene?

Questa è la chiave delle malattie cancerogene. Il cancro è
espressione del nostro tempo e delle nostre concezioni collettive del mondo.
Noi sperimentiamo in noi sotto forma di cancro ciò che noi stessi viviamo.
La nostra epoca è caratterizzata da irriguardosa espansione e realizzazione
dei propri interessi. Nella vita politica, economica, religiosa e privata la
gente cerca di dilatare oltre ogni limite i propri fini e i propri interessi
senza riguardo per nessuno, cerca di creare ovunque basi per i propri
tornaconti e vuol far valere soltanto le proprie idee e le proprie mete,
mettendo tutti al servizio del proprio personale vantaggio.

Tutti noi ragioniamo come le cellule cancerogene. La nostra
crescita è così veloce che non riusciamo quasi a rifornirci di materia prima
come nutrimento. I nostri sistemi di comunicazione raggiungono ogni angolo
del mondo, però la comunicazione col nostro vicino o col nostro compagno di
vita è ancora assai carente. L’uomo ha tempo libero, ma non sa come
utilizzarlo. Produciamo e distruggiamo prodotti alimentari per poter
manipolare i prezzi. Possiamo viaggiare comodamente per tutto il mondo, ma
non conosciamo noi stessi. La filosofia del nostro tempo non conosce altra
meta che la crescita ed il progresso.

E che scopo ha il progresso? Un progresso ancora maggiore! L’umanità si è
imbarcata in un viaggio senza meta. Deve quindi porsi sempre nuove mete, per
non cadere nella disperazione. La cecità e la miopia dell’uomo del nostro
tempo è pari a quella delle cellule cancerogene. Per portare ancora avanti l
‘espansione economica, si è utilizzato il mondo per decenni, lo si è usato
come terreno di coltura, per constatare oggi “con stupore” che la morte di
questo terreno significa la morte anche per noi. La gente considera il mondo
intero come il proprio terreno di coltura: piante, animali, materie prime.
Tutto esiste solo perché noi possiamo espanderci senza limiti sulla terra.

Chi si comporta così, dove trova il coraggio e la sfacciataggine
di lamentarsi del cancro? Esso è semplicemente il nostro specchio, ci mostra
il nostro comportamento, i nostri argomenti e anche la fine della nostra
strada.

Il cancro non ha bisogno di essere vinto, esso deve soltanto
essere capito, così che poi possiamo capire anche noi stessi. Ma gli uomini
vogliono sempre distruggere gli specchi se il loro viso non pare loro
piacevole a vedersi. La gente ha il cancro perché essa stessa è cancro!

Il cancro è quindi la nostra grande chance di scoprire
finalmente i nostri errori di pensiero e di azione. Il cancro si pone di
fronte ai due poli “Io o la Comunità”, vede soltanto questo aut-aut e decide
alla fine per la propria sopravvivenza, accorgendosi troppo tardi che essa
non è possibile senza quella del terreno che lo nutre. Gli manca la
consapevolezza di un’unità più grande, capace di tutto abbracciare. Vede l’
unità soltanto nei suoi limitati confini. Questo malinteso dell’unità è
proprio anche dell’uomo. Anche lui si chiude nella propria coscienza, ed in
questo modo sorge la spaccatura tra Io e Tu. Si pensa per “unità”, senza
rendersi conto della insensatezza di un simile modo di pensare. L’unità è la
somma di tutto ciò che è, e non conosce nulla al di fuori di se stessa.

Più un’Ego si chiude, più perde il senso del tutto, di ciò di
cui esso è soltanto una parte. Nell’Ego sorge l’illusione di poter fare
qualcosa “da solo”. In realtà però non esiste possibilità di separazione
vera dal resto dell’universo, solo il nostro Io può immaginare che esista.
Via via che l’Io si incapsula, l’uomo perde la “religio”, l’unione con l’
origine della sua esistenza. L’Ego cerca ora di soddisfare le proprie
esigenze e ci indica la via. L’Io apprezza tutto ciò che è utile ad un
ulteriore isolamento, perché più i confini vengono tracciati più l’Io prende
coscienza di se stesso. Ha paura soltanto di essere solo, perché questo
significherebbe la sua morte. L’Io difende la sua esistenza con molta
tenacia, intelligenza e buoni argomenti, e pone al proprio servizio le più
sacre teorie e le più nobili intenzioni: la cosa fondamentale è poter
sopravvivere.

Si creano così anche mete che non esistono. Porsi come meta il
progresso è assurdo, in quanto il progresso non ha fine. Un’autentica meta
può consistere soltanto nella trasformazione della situazione attuale, non
nella sua semplice prosecuzione. Se però la meta si chiama “unità”, può
essere raggiunta solo se si sacrifica l’Io, perché fintanto che c’è un Io, c’è

un Tu e noi restiamo quindi nella polarità che ci divide tutti. La
“rinascita nello spirito” presuppone sempre una morte, e questa morte
riguarda l’Io.

Fintanto che il nostro Io tende alla vita eterna, falliremo
esattamente come le cellule cancerogene. La cellula cancerogena si distingue
dalla cellula del corpo per la sopravvalutazione del proprio Io. Nella
cellula il nucleo cellulare corrisponde al cervello della cellula stessa.
Nella cellula cancerogena il nucleo acquista costantemente importanza ed
aumenta anche il suo peso ( il cancro viene diagnosticato anche in base alla
trasformazione morfologica del nucleo cellulare). Questo cambiamento del
nucleo corrisponde alla sopravvalutazione del pensiero cerebrale
egocentrico, di cui anche il nostro tempo è affetto. La cellula cancerogena
cerca la propria vita eterna nell’espansione materiale. Sia il cancro che l’
uomo non capiscono che stanno cercando nella materia qualcosa che lì non si
trova, cioè la vita. Si confonde contenuto e forma e si cerca di trovare il
desiderato contenuto moltiplicando la forma. Ma già Gesù insegnava: “Chi
vuole conservare la propria vita, la perderà”.

Il cammino è pertanto inverso: rinunciare all’aspetto formale
per trovare il contenuto, ovvero l’Io deve morire, per poter rinascere in se
stesso. Sia ben chiaro, il Sé non è se stessi, ma il Sé: il centro che si
trova ovunque. Il Sé non ha natura sua propria e particolare, perché
comprende tutto ciò che è. Qui finalmente cade la domanda: “Io o gli Altri?”
. Il Sé non conosce gli altri, perché è UNICO. Una simile meta risulta
giustamente pericolosa per l’Ego, e anche poco attraente. Per questo non
dovremmo meravigliarci del fatto che l’Io cerchi in tutti i modi di
sostituire la meta dell’unione con quella di un Ego grande, forte, saggio ed
illuminato. Ma l’Io, col quale la maggior parte di noi si identifica, non
potrà mai essere illuminato o redento.

Non possiamo redimere il nostro Io, noi possiamo soltanto
liberarci dall’Io, e in questo modo saremo redenti. La paura che nasce a
questo punto di non esistere più conferma soltanto fino a che punto noi ci
identifichiamo col nostro Io e quanto poco sappiamo del nostro Sé. Proprio
qui, invece, si innesta la possibilità di risolvere il problema del cancro.
Solo se impariamo a mettere poco per volta in discussione la fissità del
nostro Io ed i nostri confini, solo se impariamo ad aprirci, cominciamo a
vivere una parte del tutto e anche ad assumerci la responsabilità del tutto.
Capiamo allora che il bene del tutto ed il nostro bene sono la stessa cosa,
perché noi in quanto parte siamo una cosa sola col tutto. Ogni cellula
contiene infatti tutta l’informazione genetica dell’organismo, e dovrebbe
solo capire che essa in realtà è il tutto! “Microcosmo=Macrocosmo”.

L’errore di pensiero consiste nella distinzione tra Io e Tu.
Sorge così l’illusione che sia possibile sopravvivere particolarmente bene
come Io, che si possa sacrificare il Tu ed utilizzarlo come terreno di
coltura. In realtà non è possibile separare il destino di Io e Tu, della
parte e del tutto. La vera medicina si chiama AMORE.

L’amore rende sani perché dilata i confini e fa entrare l’altro in modo da
diventare una cosa sola. Chi ama, sente che la persona amata è se stesso.
Questo non vale solo per gli uomini: chi ama un animale, non può
considerarlo qualcosa di inferiore. Questo non è uno pseudoamore
sentimentale, ma uno stato di coscienza che intuisce veramente qualcosa
della comunità di tutto ciò che è.

Il cancro non testimonia di un amore vissuto, è amore pervertito:

a.. L’amore supera tutti i confini ed i limiti.
b.. Nell’amore gli opposti si uniscono e si fondono.
c.. L’amore è unione con tutto, si estende su tutto e non si ferma
davanti a niente.
d.. L’amore non teme neppure la morte, perché l’amore è vita.
e.. Se questo amore non vive nella coscienza, corre il rischio di finire
nella fisicità e di cercare qui di realizzare le proprie leggi sotto forma
di cancro.
f.. Anche la cellula cancerogena supera tutti i confini e tutti i
limiti. Il cancro elimina l’individualità dell’organo.
g.. Anche il cancro si espande su tutto e non si ferma davanti a niente
(metastasi).
h.. Anche la cellula cancerogena non teme la morte.

Il cancro è amore su un piano sbagliato. Perfezione ed unione possono essere
realizzate soltanto nella coscienza, non dentro la materia, perché la
materia è l’ombra della coscienza. Nell’ambito del fuggevole mondo delle
forme l’uomo non può realizzare ciò che appartiene ad un piano eterno.
Nonostante ogni sforzo, il mondo non sarà mai sano, senza conflitti e senza
problemi, senza tensioni e lotte. Non esisterà mai l’uomo sano, senza
malattia e senza morte, e neppure l’amore che tutto abbraccia, perché il
mondo delle forme vive dei suoi confini. Tuttavia le mete possono tutte
essere realizzate se la coscienza è LIBERA. In questo mondo polare, l’amore
porta ad imprigionare, nell’unità porta ad effondersi.

Il cancro è il sintomo dell’amore frainteso. Il cancro ha rispetto soltanto
del VERO amore. Simbolo del vero amore è il CUORE: e il cuore è l’unico
organo che non può essere aggredito dal cancro!

 

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