Il cappello e la Coppola

Il cappello e la Coppola

Era una notte buia, ma non tempestosa. Nello scuro fitto di quella strada che avrebbe dovuto essere illuminata da un lampione che i picciottazzi avevano pigliato a petrate astutandolo, il cappello di gran marca, tanticchia scantato, camminava di prescia per arrivare dove doveva arrivare. Girato l’angolo, capì che il temuto malo incontro gli stava proprio capitando: davanti a lui, ferma come se lo aspettasse, c’era una coppola. E non era una coppola quatrigliè da turista inglisi o verdoligna d’uso catalano: nossignori, questa era una coppola siciliana, di panno nìvuro ed era macari messa storta. Con un grido soffocato, il cappello si tirò un passo narrè. “Scanto ti fici?” – s’informò, a un tempo cortese e ironica, la coppola. “Beh, sì”. “E pirchì?”. “Beh, si sa cosa rappresenta la coppola, no? E a vederti così all’improvviso davanti a me, nello scuro, in una strada solitaria, ho pensato subito a una mala coppola, una coppola che ha intenzioni tinte. Ci indovinai?”. “Ci indovinasti” – rispose la coppola cavando un revorbaro dalla sacchetta. E poi spiò: “Prima levami una curiosità. Su quale testa stai?”. “Sulla testa del più grande banchiere del mondo” – rispose il cappello. La coppola rimise in sacchetta l’arma, si fece di lato, si scoppolò rispettasamente. “Mi scusi, capo. Non l’avevo riconosciuta” – fece inchinandosi.

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